Istruzioni per rendersi (di nuovo) individui
- C’è un modo per capire se è il caso di chiudere una relazione?
- C’è un modo per capire se è il momento giusto per farlo?
- C’è un modo giusto per farlo? E qual è?
- E se poi rimago solo/a?
- E se gli amici mi abbandonano?
- E se i figli poi mi odiano?
- E se entro in depressione?
- Sarò in grado di badare a me stessa/o e a tutto il resto senza il partner?
Partiamo dalla fine
Ciò che succede di solito è che le persone percepiscano uno stato di sofferenza, di parzialità, di disagio, di distanza, di conflitto, di assenza che le porta a farsi domande sulla propria relazione sentimentale.
Si va spesso cercando la colpa o il momento di inizio della crisi. Di solito a queste due domande non c’è una risposta giusta ma, soprattutto, sono le domande a non essere giuste.
La prima e, forse unica, domanda giusta da farsi è
è ancora una relazione?
E qui cominciano i guai perché qualcuno scambia i rapporti per relazioni, qualcun altro scambia i legami affettivi per relazioni, qualcun altro ancora non sa, o non è in grado, di entrare/stare in alcuna relazione.
Come si definisce una relazione?
(non solo amorosa)
Una relazione è uno spazio comune, un luogo di incontro, prevalentemente interno, del mondo psichico, emotivo ed intellettuale di due persone.
Questo significa che se io mi alleno 3 volte a settimana con una persona e il sabato giochiamo a calcetto non sono necessariamente in una relazione (in questo caso amicale).
Sono semplicemente in rapporto: ciò che condividiamo è SOLO il calcetto.
Ecco, ci sono molte relazioni di coppia che sono solo degli incontri di calcetto.
Perché allora soffriamo per la chiusura di una “relazione”?
Bowlby ci ha ben spiegato che ogni essere umano ha un comportamento orientato all’attaccamento. Ognuno di noi, cioè, cerca almeno una figura di riferimento supportiva e che si prenda cura di noi in modo caldo e amorevole.
All’inizio della vita il rapporto è verticale (rapporto madre-bambino) dove lo sbilanciamento è fisiologico ed è condizione necessaria alla sopravvivenza fisica e psichica e all’apprendimento. Nell’infanzia, dunque, lo sbilanciamento relazionale è normale e funzionale.
Via via che l’individuo cresce acquistando autonomia pratica, fisica, emotiva ed affettiva, il legame diventa – o dovrebbe diventare- orizzontale.
Nelle relazioni di coppia adulte ed equilibrate il rapporto è orizzontale.
Questo significa che entrambi i partner possono alternativamente prendersi cura l’uno dell’altro (sono madre e bambino in tempi alternati), hanno capacità di intimità, complicità, ascolto e supporto.
Fermo restando che ogni coppia e relazione fanno storia a sè, ci sono dei punti comuni che possono aiutare a capire.
Porsi tutte le domande elencate all’inizio non solo è tipico (chi non se le è fatte) ma è anche assolutamente normale.
Ciò che, invece, va evitato, è il restare bloccati, congelati se ad una o più di quellle domande la risposta è “Sì” oppure “E’ possibile”.
E allora quali sono le domande giuste?
Qualche domanda giusta, o forse meglio, utile c’è.
* Ho del rancore (anche non esplicito, mascherato, non agito) o del risentimento verso l’altro?
Se la risposta è sì, significa che si è verificata una ( o più) ferita emotivo/affettiva che non si ricompone. Non è necessario che l’altro /a abbia effettivamente FATTO qualcosa. E’ sufficiente che io senta di essere stato/a ferito senza trovare lo spazio della rimarginazione.
A quel punto anche il quotidiano sarà solo uno spazio di insicurezza.
Allora dobbiamo lasciarci? E’ possibile.
Oppure si può tentare un percorso comune di comunicazione e recupero dove i pezzi vengono ricomposti come nel kintsugi .
Di certo però la coppia non sarà la stessa di prima perché vi saranno solo due strade: o diventerà una coppia più orizzontale (e quindi anche più matura ed unita, sostituendo l’oro alle crepe) o non ci sarà più la coppia.
Di certo non potrà più esserci la coppia-calcetto (quella che finge di essere ciò che non è)
*Esiste la disponibilità, o la capacità, di entrambi a fare compromessi, mediazioni, cambiamenti in virtù di una visione più chiara dell’altro e dei suoi bisogni e desideri?
Se la risposta è NO, lasciatevi.
* Se mi proietto nel futuro di 10 anni, mi vedo felicemente accanto al mio partner?
E qui il “felicemente”, con tutti gli aggiustamenti della non idealizzazione, è la parola chiave.
Se di lì a 10 anni vi vedete fare le cose da soli o con accanto una persona diversa (anche immaginaria), lasciatevi.
*I problemi che la coppia affronta nel momento della scopertura della crisi sono in loop la ripresentazione dello o degli stessi problemi (nel loro nucleo sostanziale e non circostanziale) nonostante i numerosi tentativi di soluzione cercati negli anni?
Se la risposta è SI c’è l’evidenza che quella coppia non ha le risorse specifiche per superare quell’impasse.
Quindi, di nuovo, lasciatevi.
Può sembrare che tutto ciò che è scritto fin qui sia un’esortazione alla separazione.
In realtà è un’esortazione alla consapevolezza.
Se una coppia, pur complessa e conflittuale ha le risorse per stare ancora in relazione (e non giocare a calcetto) è ancora una coppia vitale e, sostanzialmente, sana. Allora è una coppia che può, e forse deve, continuare ad esistere.
La separazione, pur essendo sempre un elemento doloroso, dà vita a nuove nascite, nuove crescite e nuove partenze.
La separazione dal grembo materno, la prima autonomia motoria che ci permette l’allontanamento dall’adulto, le prime capacità verbali che ci permettono di riferirci a più persone e non solo al seno che nutre, l’adolescente che sostituisce il gruppo famiglia col gruppo dei pari, l’età adulta, quando il distacco pratico dai genitori è totale e noi siamo persone autonome e indipendenti, sono tutti momenti – anche- dolorosi per entrambe le parti.
Poi, però, da persone autonome, equilibrate e indipendenti possiamo FINALMENTE scegliere la/le persone con cui STARE IN RELAZIONE.
Scegliere l’altro è il più grande, maturo e profondo atto d’amore.
Tutto il resto è calcetto.
O calesse.
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