Il concetto di “costanza dell’oggetto” non è semplice.
Tutti i genitori avranno sperimentato quello che è mostrato nella vignetta: il bambino che piange quando viene nascosto l’oggetto e ride e si rasserena quando l’oggetto ricompare.
Questo accade quando il piccolo non ha ancora sviluppato, appunto, “la costanza dell’oggetto” intendendo come oggetto sia un oggetto fisico che, e soprattutto, un oggetto emotivo. In buona sostanza, il bambino deve arrivare ad avere la capacità di interiorizzare un oggetto esterno in modo da mantenerlo “in vita” anche quando esso è fisicamente assente.
Un esempio classico è quando il bambino si dispera quando la madre o un adulto parentale si allontana e il bimbo teme la sua scomparsa assoluta e definitiva.
Acquisendo la capacità di interiorizzazione, il bambino arriverà a capire, ma soprattutto a sentire, che l’oggetto tornerà e che l’assenza è solo momentanea e solo fisica. Affettivamente si giunge, invece, alla “costanza dell’oggetto” che rimane, così, sempre disponibile.
Questa disponibilità dell’oggetto interno, che Winnicott trova essenziale per la costruzione della “fiducia primaria”, renderà possibile all’individuo l’inizio della sua autonomizzazione e della sua individuazione.
Importantissimi lavori sulla costanza dell’oggetto (da vari punti di vista) sono stati svolti da Margareth Mahler, da Melanie Klein, da Winnicott, da Piaget, da Anna Freud e molti altri.